— 24 luglio 2014
La giaculatoria contro la svendita di un patrimonio della comunità è più o meno la stessa cosa che ha sostenuto Massimo Masini fino a qualche mese fa. Ecco perché il combinato disposto delle dichiarazioni di Cagnoni e Gnassi (e, non a caso, sulla scia si è inserita anche la presidente dell’Associazione albergatori) farà insabbiare la privatizzazione del polo fieristico-congressuale. Rimini assomiglia sempre più a Macondo di “Cent’anni di solitudine”, si illude di poter vivere fuori dalla storia, è sempre più egocentrica ed autoreferenziale, disponibile ad accettare le narrazioni più confortanti ed illusorie.
Il combinato disposto della conferenza
stampa del Presidente Lorenzo Cagnoni e delle recenti dichiarazioni
del Sindaco di Rimini Andrea Gnassi, chiariscono come verranno
gestiti nei prossimi mesi i travagli del polo fieristico
congressuale della nostra città e perché la privatizzazione
auspicata dai tecnici degli enti proprietari sia destinata ad
insabbiarsi senza reali prospettive.
Partiamo dal primo. Il Presidente Cagnoni, al di là delle
rassicurazioni sul futuro, affidate a business plan che però
purtroppo hanno già fallito le loro previsioni in passato, non
riesce a nascondere le difficoltà finanziarie attuali legate alla
impossibilità da parte dei soci di onorare le rate dei mutui accesi
per realizzare il palazzo dei congressi.
Mancano 10 milioni e rotti a breve, sempre ammesso che l’operazione
immobiliare sulle vecchie aree della Fiera produca i risultati
immaginati, altrimenti le risorse da reperire urgentemente
divengono ancora più consistenti.
Nessuno dei dati contenuti nel libro bianco
presentato da Dreamini in realtà è stato contestato e smentito,
perché i numeri sono quelli e c’è poco da fare.
Cagnoni si è impegnato invece nel dimostrare che la situazione è
assolutamente sotto controllo e che i flussi di cassa previsti
potranno in futuro contribuire a onorare i mutui accesi. L’unico
dato confortante e nuovo rispetto a quelli già conosciuti è quello
relativo all’andamento della gestione del primo semestre del
palazzo dei congressi. Obiettivamente un buon risultato, ma anche
troppo poco per affermare l’affidabilità di business plan che fino
ad ora hanno registrato consuntivi ben lontani dalle previsioni e
per i quali non è stata spesa una sola parola critica.
Personalmente non ritengo neppure
particolarmente significativa la parte della conferenza dedicata ai
temi della privatizzazione.
Il Presidente ha voluto accreditarsi come non pregiudizialmente
contrario ad un orizzonte di questo tipo, ma spacciare come
privatizzazione la cessione di quote di assoluta minoranza
effettuata qualche anno fa nella prospettiva di quotare in borsa la
fiera sul modello Hera, è un attestato di privatizzatore davvero
poco credibile e assai lontano dalle esigenze e dal dibattito del
momento.
La giaculatoria contro la svendita di un patrimonio della comunità
invece è più o meno la stessa cosa che ha sostenuto Massimo Masini
fino a qualche mese fa, quando già il valore della società
aeroportuale era vicino allo zero. Affermazioni contro le quali
peraltro Cagnoni, in quanto socio Aeradria, non aveva allora mai
trovato nulla ridire.
L’unica svendita reale ed effettiva, come dimostra il caso del
Fellini, è invece il deprezzamento che si produce a causa di una
progressiva decurtazione dei valori provocata dal manifestarsi
della crisi finanziaria che impedisce alle società di gestione di
infrastrutture, come fiere ed aeroporti, di intraprendere piani
industriali realmente competitivi.
Più notevole invece il tono generale della conferenza stampa.
Lorenzo Cagnoni, che è un cavallo di razza
ed è stato il miglior amministratore e manager pubblico della città
negli ultimi quarant’anni, si muove con la sicurezza che gli è
propria, come il vero dominus del polo fieristico
congressuale.
Affronta senza alcuna timidezza temi, come quello della ricerca di
un partner industriale, che dovrebbero essere riservati ai soci
pubblici, di fatto li bacchetta chiarendo che se esistono
difficoltà esse derivano esclusivamente dalla loro mancata capacità
di onorare gli impegni a suo tempo assunti, presenta una evoluzione
degli scenari nei quali ignora deliberatamente ogni elemento
critico emerso nelle sedi istituzionali che governano i suoi soci
di riferimento, detta le condizioni e i tempi delle varianti
urbanistiche.
Quando mi capita di parlare di sistema di potere della Fiera
intendo precisamente questo: una società partecipata dagli enti
locali che, grazie alla sua grande capacità di influenza politica,
si muove e programma la propria vita in maniera del tutto autonoma
e svincolata da controlli reali e che gestisce le proprie attività
allo scopo di mantenere e perpetuare, sulle materie di propria
attinenza, l’influenza ed il controllo sugli attori politici degli
enti proprietari e sulle componenti di rappresentanza sociale ed
economica della società locale che vengono cooptate in un legame
consociativo.
In questo caso tuttavia la colpa non è certo di Cagnoni che agisce
ottimizzando tutte le opportunità che vengono offerte dal proprio
ruolo, in un’ottica di continuità del sistema delle partecipate; il
problema è di chi dovrebbe ristabilire le reali competenze ed i
ruoli effettivi che spettano ai soci.
Per capirci meglio faccio l’esempio più
banale. In una certa ottica, articolare le attività del polo
fieristico in 15 distinte società è funzionale al consolidamento
del sistema di potere sopra descritto (15 consigli di
amministrazione, 15 collegi sindacali, ecc. ecc.). Vale lo stesso
discorso per gli enti proprietari?
E chi ha deciso che debba esistere, tra quelle controllate dalla
Fiera, una società di vigilanza e sicurezza, con relativi
dipendenti? Corrisponde questa scelta ad un’attività di servizio di
cui è giusto e necessario si occupi una società pubblica?
Le risposte a mio avviso sono scontate e indicano dove risiede il
macroscopico deficit di controllo.
La notizia vera della conferenza stampa,
invece, era l’annuncio dell’esistenza di un piano per fare fronte
alle difficoltà presenti. Cagnoni non lo illustra, non ne descrive
i suoi contenuti, comunque rassicura che grazie a questo piano non
sarà necessario avviare nessuna privatizzazione.
Sostanzialmente lascia sullo sfondo il tema della fusione tra le
società di Rimini e Bologna e affida a questo piano il compito di
fare superare le contingenti difficoltà finanziarie legate alla
impossibilità per gli enti locali di onorare i mutui.
In sintesi, mentre il futuro è decisamente roseo, le nubi attuali
sono sotto controllo e non produrranno alcun danno grazie ad un non
meglio precisato “piano”.
Se fossi il presidente della più grande
organizzazione territoriale di imprese alberghiere d’Italia,
presumo che i contenuti di quella conferenza stampa non mi
sarebbero bastati per dichiarare il mio no fermo alla
privatizzazione. Soprattutto avendo le dita ancora scottate per la
vicenda dell’aeroporto, dove la parte sociale che rappresento ha
visto i propri esponenti avvallare e dare fiducia a tutti i
miracolosi “piani” pubblici che sono stati presentati nel corso
degli anni e hanno contrastato ed impedito ogni scenario di
privatizzazione.
La risposta al perché invece la Presidente dell’AIA, Patrizia
Rinaldis, ha pensato bene, il giorno dopo la conferenza stampa, di
spezzare subito la propria lancia a favore di Cagnoni, l’abbiamo
appresa qualche giorno dopo con le dichiarazioni del sindaco Andrea
Gnassi.
Il “piano” annunciato dal Presidente della Fiera, nella versione
Gnassi, consiste infatti nella richiesta di un intervento
straordinario della Regione Emilia Romagna che dovrebbe
ricapitalizzare il sistema regionale delle Fiere. Ancora soldi
pubblici insomma, da bruciare sull’altare della gestione di servizi
ed infrastrutture che potrebbero essere più convenientemente
affidati alla gestione imprenditoriale di privati, che invece, in
questo assetto, garantiscono alle rappresentanze di impresa locali
un ruolo di cogestione, come in Aeradria.
Il Sindaco nell’annunciare/rivendicare questo proposito cui sarebbe
chiamata a corrispondere la Regione, ci mette il carico da undici.
“Altrimenti facciamo da soli”, sintetizzano i giornali.
Per dare forza e credibilità alla ponderosa richiesta alle casse
della Regione, torna in primo piano la costruzione del sistema
fieristico regionale, che era rimasto in ombra nella conferenza di
Lorenzo Cagnoni.
Il tallone d’Achille strutturale di quel sistema, come dimostrano i
dati pubblicati da Dreamini, è la Fiera di Bologna, che una
eventuale competizione aggressiva di una Fiera di Rimini
privatizzata metterebbe ancora in maggiore difficoltà.
La privatizzazione invece di essere seriamente perseguita, viene
così usata come minaccia. La buona medicina del mercato viene
agitata come spauracchio per costringere la Regione ad aprire la
cassaforte ed a finanziare con risorse copiose la costruzione del
sistema fieristico regionale, che metta al riparo dalla
competizione tra sistemi territoriali, dalla concorrenza e dalla
apertura dei mercati.
Riuscirà questo tentativo?
Prima di esaminare il quesito, voglio
sottolineare che questa comunque non è, a mio avviso, una
prospettiva desiderabile.
Invece di essere incrementate le risorse pubbliche che oggi sono
ingessate nei poli fieristico congressuali andrebbero rapidamente
liberate, perché dove non ci sono valori fondamentali da
salvaguardare e dove può intervenire convenientemente il privato è
bene che il pubblico si ritiri. Quelle risorse sono preziose, non
possono correre il rischio di essere svalutate e vanno invece
impiegate per dotare il sistema locale di infrastrutture e servizi
che il privato stenta ancora a fornire.
Ma occorre considerare anche la necessità di tutelare la
competitività delle infrastrutture esistenti che verrebbe
mortificata dalla scelta del sistema.
In un’ottica esclusivamente regionale, al di là della zavorra
rappresentata da Bologna, non c’è prospettiva di crescita e neppure
di tenuta. Anche il mercato delle fiere e dei congressi è cambiato,
contano le reti, le filiere, l’apertura verso
l’internazionalizzazione. Non è certo l’economia del distretto che
ci salverà, almeno non in questo campo.
D’altra parte lo aveva ben presente Cagnoni, già da diversi anni. I
tentativi di sbarco a Roma ed a Firenze muovevano esattamente da
questa consapevolezza: non c’è futuro se si rimane dentro i confini
di relazioni, di know how, di mercati della nostra regione. La
privatizzazione è l’unica vera leva rimasta per internazionalizzare
il nostro polo fieristico congressuale.
Quanto alla fattibilità della prospettiva
rivendicata da Gnassi invito a riflettere sul quadro nazionale nel
quale ci stiamo muovendo e che dovrebbe essere ben conosciuto anche
dai nostri amministratori.
Il prossimo autunno ci porterà una legge di stabilità il cui piatto
forte sarà la spending review di Cottarelli. Basta leggere i
giornali per sapere che una delle strette maggiori avverrà sulle
partecipate di Comuni e Regioni.
Da questo punto di vista la Fiera di Rimini è un caso di scuola,
per i caratteri della compagine societaria, per i consecutivi
bilanci in rosso della parte congressuale, per le società a
grappolo che da essa discendono, per il livello di
indebitamento.
Se qualcuno spera di passare inosservato tra le maglie della
spending review temo si sbagli. Ancor più incredibile ritengo sia
ipotizzare un nuovo impegno di risorse regionali in questa
direzione, ammesso che ne esistano.
Andrebbe inoltre attentamente esaminato il tema del profilo degli
aiuti di stato sul quale qualsiasi fiera concorrente a livello
italiano od internazionale potrebbe avere qualcosa da dire. Gli
orientamenti europei da questo punto di vista sono chiari: vengono
tollerate proprietà pubbliche, anche se l’invito è a dismettere,
non vengono accettati – viceversa – salvataggi con soldi
pubblici.
Non vorrei che questa mancanza di visione, appiattita sulla salvaguardia del sistema di potere locale e sulla sufficienza conservatrice con la quale si guarda alle vicende del grande mondo, ci portasse nella situazione nella quale ci siamo già trovati a proposito della cancellazione della provincia e dei temi dell’area vasta. Gli ultimi giapponesi a combattere a difesa delle provincie, già morte, siamo rimasti noi, mentre forlivesi, cesenati e ravennati si preparavano a gestire al meglio, nell’interesse della loro comunità, la preparazione dell’area vasta. I risultati oggi si vedono.
Torniamo al combinato disposto di Cagnoni e
Gnassi. La conclusione è amara, Rimini assomiglia sempre più a
Macondo di “Cent’anni di solitudine”, si illude di poter vivere
fuori dalla storia, è sempre più egocentrica ed autoreferenziale,
disponibile ad accettare le narrazioni più confortanti ed illusorie
su quanto accade lontano da qui. Da fuori soltanto echi distorti,
mentre il tempo passa inseguendo interminabili giochi e dispute
localistiche, le novità ci trovano irrimediabilmente
impreparati.
Con quel combinato disposto non si farà nessuna privatizzazione,
non si inizierà neppure a discuterne seriamente per capire come
farla, quali asset coinvolgere, se interessare anche tutti gli
immobili o soltanto quote di essi, se concentrarsi sulle società di
gestione. Il tempo in queste operazioni è decisivo, noi abbiamo
scelto di usarlo per non decidere.
L’unica utilità, ancora una volta autoreferenziale, sarà quella di
poter ottenere la moratoria sui mutui ed eventualmente rispondere
ad una richiesta della magistratura qualora le cose si mettessero
male da quel punto di vista.
Sarò pessimista, ma la mia impressione è che così stiamo correndo
ancora una volta verso il precipizio e rischia di prepararsi un
“Aeradria 2″, con conseguenze più gravi per il comune che è già
finanziariamente impegnato in due partite da fare tremare i polsi
come quella del sistema fognario e del TRC. Dal mio punto di vista
meglio rischiare il ruolo di Cassandra piuttosto che abituarmi ai
ritmi senza tempo di Macondo.
Sergio Gambini
RiminiFiera supera le previsioni di budget.
Dividendi a partire dal 2017
di Ilaria Vesentini16 luglio 2014
Rimini Fiera e la controllata Convention Bureau centrano in pieno gli obiettivi del business plan triennale, chiudendo i primi sei mesi dell'anno con un fatturato di 4,7 milioni per l'attività congressuale (il budget di 8,6 milioni per fine dicembre è a portata di mano) e 97mila euro di Mol «e una semestrale fieristica addirittura superiore alle previsioni – annuncia il presidente Lorenzo Cagnoni - con 30,65 milioni di euro di ricavi a giugno 2014 e un pretax di 803mila euro, contro i 650mila previsti. Dunque, un bel biglietto d'ingresso nella più complessiva valutazione del nostro business plan e della sua concreta credibilità».
Piano a tre anni in cui l'expo riminese aveva messo nero su bianco i traguardi di 68 milioni di euro di ricavi consolidati quest'anno; 76,5 nel 2015 e 85,8 nel 2016, a fronte di un Ebitda in salita dagli 11,56 milioni del 2014 ai 17,6 del 2016. «Alla chiusura del triennio – sottolinea il presidente – non solo avremo azzerato il debito assunto per la realizzazione del quartiere che costò 300 milioni di euro, debito sceso in dodici anni a 14,8 milioni, ma avremo una posizione finanziaria netta positiva per 4,7 milioni. A partire dal 2017 si darà inoltre il via alla distribuzione dei dividendi per 3 milioni di euro».
Il Convention bureau della Riviera di Rimini (Cbrr) ha realizzato nel primo semestre dell'anno 56 eventi, nove in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con manifestazioni corporate di brand quali Peugeot, Wella, Dhl. In autunno sono già in calendario gli appuntamenti della multinazionale del farmaco Roche, della statunitense Amway e di Jean Louis David e altri 30 eventi sono già stati confermati per il 2015. «Dati che confermano il Cbrr al secondo posto nel panorama nazionale. Un risultato che non avremmo ottenuto se non avessimo investito nel nuovo Palacongressi – rimarca Cagnoni di fronte alle annose polemiche per i 102 milioni di euro spesi per il Palas – che ci ha assicurato un altissimo posizionamento competitivo in un mercato nazionale del congressuale asfittico. Vorrei anche ricordare il formidabile rapporto costo/qualità del nostro Palacongressi: a Roma, il nuovo centro congressi Italia, al quale si sta lavorando da oltre dieci anni, identico al nostro per caratteristiche ricettive, costerà quattro volte di più».
Intanto Rimini si prepara alla due giorni di confronto tra tutti i 35 principali quartieri fieristici nazionali riuniti in Aefi (che rappresenta l'85% delle manifestazioni del Paese), che domani e venerdì si incontreranno nella città malatestiana per discutere di sviluppo strategico internazionale tra social, new media ed e-commerce. Titolo del seminario «Comunicare e vendere il prodotto fieristico: verso la globalizzazione».
La Procura indaga sul Palacongressi di Rimini Fiera.
Oltre 107 milioni di debiti per le società del gruppo
Errore politico (con una gestione poco assennata) o ricorso abusivo al credito, come ipotizza la Procura di Rimini? Quel che è certo è che il sistema fieristico e congressuale di Rimini sta affogando nei debiti. Ammonta a oltre 107 milioni di euro l'esposizione con gli istituti di credito accumulata dalle società della galassia Rimini Fiera.
La società a capitale a maggioranza pubblico, tra Regione Emilia Romagna e Comune, Provincia e Camera di commercio di Rimini, è anche azionista di riferimento, con oltre il 70% delle azioni, di Convention Bureau, che gestisce il Palazzo dei congressi del capoluogo romagnolo.
In una città ancora sotto choc per il crack della società Aeradria, che gestiva l'aeroporto Federico Fellini, la magistratura ha preso di mira proprio Convention Bureau e il Palazzo dei congressi spa, vale a dire la società, proprietaria dell'immobile, partecipata, oltre che da Rimini Fiera, da Rimini Congressi srl, azionista di maggioranza, dalla Camera di commercio, da Rimini holding e dalla Provincia di Rimini, in un gioco ad incastri sul quale i magistrati hanno indirizzato la loro attenzione. Rimini Congressi è infatti a sua volta nelle mani di Rimini holding (di cui è socio unico il Comune), di Camera di commercio e Provincia di Rimini. Azionisti istituzionali che devono fronteggiare una crisi pesantissima. Convention Bureau esce quasi a pezzi da un 2013 durante il quale, a causa del crollo della domanda congressuale, ha dovuto incamerare la cancellazione di quasi 200 eventi, tra meeting e convention. A sua volta, con un intreccio quasi inestricabile, Rimini Congressi di fatto ha in mano le sorti di Rimini Fiera.
In cambio dei finanziamenti per la costruzione del Palazzo dei congressi, costato ben 110 milioni di euro su progetto dell'architetto Wolkwing Marg, ha ceduto in pegno al gruppo Unicredit la sua partecipazione in Rimini Fiera, vale a dire oltre il 52% delle azioni. Con tanto di lettere di patronage emesse dagli enti pubblici a garanzia del prestito. La stessa manovra finanziaria decisa per Aeradria e già finita sul tavolo dei magistrati per il fallimento dello scalo. Il presidente di Rimini Fiera Lorenzo Cagnoni oggi è stato chiamato a illustrare la situazione in Comune. Con un patrimonio netto di oltre 153 milioni (e una perdita di esercizio che nel 2013 ha sfiorato i 2 milioni) la società fieristica riminese è di fatto accusata di aver fatto il passo più lungo della gamba in uno scenario che avrebbe suggerito maggiore prudenza. Avrebbe cioè sfidato la crisi con un investimento per la realizzazione del Palas che oggi rischia di essere considerato semplicemente un azzardo fuori mercato. A sua volta la società Palazzo dei Congressi, ha un debito con le banche di oltre 27 milioni e da due anni chiude il bilancio in rosso.
Nessun commento sul fascicolo di indagine aperto dalla magistratura, né dai vertici di Bologna Fiere né dai soci pubblici. Il business plan messo a punto, ha ammesso Cagnoni, è saltato per aria a causa della prolungata crisi economica. Ora dovrà essere rivisto. "La situazione non può non essere preoccupante", ha detto Cagnoni alla Commissione consigliare permanente del Comune. Nel 2014 la società fieristica dovrebbe tornare a macinare utili. Ma tutti, già, invocano la privatizzazione.
Si definiscono “un nuovo soggetto culturale
che ama la città e crede nella possibilità di rimettere in moto
dinamiche di sviluppo per conseguire un benessere generale oggi
largamente compromesso o perduto”. Credono in un nuovo sogno per
Rimini e pur muovendosi su un terreno prepolitico non nascondono di
voler dare una spallata all’immobilismo, per non dire al nullismo,
che regna a Palazzo Garampi.
“Dreamini” è il nome del soggetto culturale, che si presenta alla
città venerdì 14 marzo alle ore 11 “nei locali d’un negozio storico
ora non più attivo che ha subito la stessa sorte di tante altre
attività commerciali del centro. Una location simbolo di una crisi
prodotta da una gestione fallimentare della città. L’ingresso si
trova in via Tempio Malatestiano 13, nell’angolo che incrocia via
Quintino Sella”.
L’uscita publica, la prima, raccoglie il frutto di un lavoro
iniziato da tempo, come spiegano gli organizzatori: “Sono già
alcuni mesi che una serie di persone con identità culturale,
professionale nonché politica diversa, quando non addirittura
contrapposta, incapaci di rassegnarsi alla retorica d’una crisi
diventata ritornello d’obbligo, s’incontrano non solo per
analizzare i problemi di Rimini, ma per ipotizzare delle
soluzioni”. Problemi aggravati da una classe di amministratori
pubblici sui quali Dreamini non ha dubbi: “Gli attuali
amministratori appaiono del tutto inadeguati a “cambiare verso” a
una città pericolosamente avviata da una parte al nulla culturale,
dall’altra al default economico-finanziario. Vicende come quella
dell’aeroporto, dell’identità turistica, degli sversamenti in mare
o del polo congressuale e fieristico sono temi con cui si sono
cimentate intere generazioni di amministratori. Col risultato d’un
Comune che oggi, attribuendosi un ruolo da imprenditore che non gli
compete, sembra incapace di dare risposte adeguate ai problemi
drammatici della città e dei suoi abitanti”.
Analisi dura, anti tagliente, ma senza sfiducia e allarmismo a buon
mercato: “Non vogliamo ingrossare la schiera dei disfattisti,
vorremmo piuttosto cercare di offrire soluzioni a partire dalla
preoccupazione largamente condivisa per una città che non sa più da
dove viene, chi è, dove va. Per questo il gruppo di persone che si
presenterà venerdì 14 marzo ha costituito una Associazione
Culturale dall’evocativo nome di ‘DREAMINI’: come dire,
anglesizzando, Rimini come dream, come sogno, quindi cosa pensare e
fare perché Rimini torni a essere sogno, proiezione immaginaria,
oggetto del desiderio sia dei turisti che dei riminesi stessi
piuttosto che incubo o “città fantasma” sulla via Emilia, come
finirà per diventare andando avanti così”.
Dell’Associazione fanno parte soggetti di varie aree culturali e
politiche, giovani, imprenditori, professionisti, uomini e donne
aperti a un confronto di tipo innanzitutto culturale con chiunque
abbia a cuore il destino della città. Nomi? Di certo del gruppo
fanno parte Bruno Sacchini e Mario Ferri, che venerdì illustrano in
conferenza stampa il sogno che anima il nuovo soggetto.
Ci sono due fantasmi agitati nelle prime pagine del libro bianco su Fiera e Palacongressi presentato oggi dall’associazione Dreamini: quello del fallimento di Aeradria e quello del dissesto del Comune di Alessandria.
Il libro racconta di una riunione svolta in
Aeradria il 16 settembre 2001 per esaminare il bilancio. “C’è
Stefano Vitali, presidente della Provincia, l’assessore Gianluca
Brasini in rappresentanza del Comune di Rimini, Lorenzo Cagnoni con
le quote della Fiera e del Palazzo dei Congressi, Maurizio Temeroli
per la Camera di commercio, i rappresentanti delle quote minori
detenute da associazioni di categoria, La Regione con il suo7,48% è
rappresentata dal delegato Francesco Saverio Di Cimmo. Ci sono
anche i componenti del consiglio di amministrazione che esprimono
le principali forze dell’economia riminese, Confindustria e
Associazione albergatori, e poi ci sono quelli dello Studio Skema,
i nuovi professionisti di riferimento degli enti locali riminesi”.
Cosa si dice in quella riunione? Secondo il libro bianco il
presidente di Aeradria, Massimo Masini, dipinge uno scenario
rassicurante. Sappiamo poi come è andata a finire. “Quello che più
inquieta – si legge – è che la stessa foto sorridente e ottimista è
stata scattata qualche tempo dopo anche nella sala della Fiera di
Rimini. I protagonisti sono più o meno gli stessi. La Fiera non è
Aeradria, è vero; Cagnoni non è Masini ma anche lui, di fronte a
difficoltà ormai conclamate, preferisce raccontare le mirabilie
delle sue società e i piani finanziari che… “oggi non ci fanno
guadagnare ma domani…”. Osserva Dreamini: “Il rischio che denuncia
questo libro bianco è che questo scatto sia stato il ciak di inizio
di un altro film horror per la città”.
L’altro fantasma, si diceva, è quello del
Comune di Alessandria, finito in default a causa del dissesto delle
partecipate, un rischio che, secondo Dreamini, Rimini corre
seriamente.
La fiera delle previsioni sballate
L’antefatto della situazione odierna è, come noto, la
costruzione di un Palazzo dei congressi che ha portato a un
indebitamento complessivo di 100 milioni di euro. Un Palacongressi
voluto di quelle dimensioni sulla base di previsioni sbagliate.
“Ciò che qui si contesta – rileva il libro bianco - non è l’errore
d’una singola previsione o business plan, ma il fatto che sono
dieci anni che tali errori si replicano con il risultato di
continui, pesanti sacrifici imposti alla collettività”.
Vade retro Bologna
Tralasciando i vari passaggi per cui si è arrivati
all’allarme attuale (su Inter-Vista ne abbiamo ripetutamente
parlato), ci soffermiamo sul tema delle prospettive. La prima è
l’ipotetica alleanza fra le Fiera di Rimini, Bologna e Parma.
“L’integrazione fra le Fiere - sostiene Dreamini – costituirebbe un
vantaggio, a prescindere dal peso politico, per Bologna Fiere.
Infatti Parma forte del suo bacino agro alimentare e dell’alleanza
con due importati fiere tedesche è in grado di competere in
assoluta tranquillità. Anche Rimini, a prescindere dalla situazione
creata dalla costruzione del centro congressi, con la propria
diversificata attività e con la capacità di accoglienza del
territorio, dimostra anche in un periodo di crisi generale, di
resistere alla concorrenza. Al contrario Bologna è in difficoltà e
soffre più delle altre fiere emiliane la concorrenza di Milano;
l’integrazione, fortemente desiderata dalla Regione, le
consentirebbe non solo di definire il calendario delle
manifestazioni, ma anche il luogo di attuazione.
L’ipotetica fusione fra Bologna, Rimini e Parma avrebbe
certamente , anche per ragioni territoriali, il suo baricentro a
Bologna, ove sarebbe posta la testa pensante”.
Privatizzazione, ma fatta bene
Per Dreamini l’unica risposta alla crisi attuale è una seria
privatizzazione. Da questo punto di vista vengono formulate non
poche critiche alla delibera recentemente approvata dal consiglio
provinciale e che sarà adottata in fotocopia anche dal consiglio
comunale. Non va bene la possibilità di procedere con aumento di
capitale (specialmente dopo il caso Aeradria); non è indicato
chiaramente l’oggetto della vendita; nella vendita devono essere
coinvolti anche i soggetti privati, se consenzienti; il documento
dei consulenti (Studio Boldrini) non ha niente a che vedere con la
lamentata “situazione di emergenza che richiede un percorso
alternativo strategico e funzionale”; non è stata contemplata
l’eventualità di chiedere a Unicredit una ulteriore moratoria sulla
rata del debito.
In conferenza stampa Mario Ferri ha anche aspramente
criticato le modalità indicate per l’individuazione
dell’advisor.
La strada della privatizzazione è giusta ma bisogna procedere
con maggiore precisione. Il libro bianco indica tutti i passaggi
necessari per arrivare all’obiettivo.
Dossier choc:
Fiera e congressuale a Rimini sull’orlo del baratro
Rimini, 12 luglio 14 Claudio Monti
Presentato stamattina da Dreamini il libro bianco che mette in fila numeri e analisi estratti da bilanci e delibere. Siluri a Cagnoni, Vitali e Gnassi. In sala anche i sindaci di Bellaria e Riccione, perché il messaggio è chiaro: anche a Rimini si può cambiare verso. Basta con una politica che pretende di farla da padrona e che lascia sul campo macerie su macerie.
I relatori che hanno presentato il libro bianco. Da sinistra, Sergio Gambini, Bruno Sacchini, Mario Ferri e Sergio Pizzolante
“Il libro bianco è una cosa seria, adesso il sistema fieristico-congressuale riminese ha davvero l’acqua alla gola. I numeri ci dicono che, o si sceglie con determinazione la strada della privatizzazione oppure non solo il Palas ma la stessa Fiera, rischiano di essere trascinati nel default e con loro rischia di cascarci dentro seriamente il Comune di Rimini”. Così Sergio Gambini, una lunga militanza nella sinistra riminese (rivendicata anche stamattina), ex amministratore comunale e parlamentare, alla presentazione del libro bianco che ha la paternità di Dreamini e che porta la firma di due tecnici, Mario Ferri e Andrea Bellucci. “Non vorrei che le delibere che sono state assunte in queste settimane fossero solo in vista di una rinegoziazione del debito, per cercare di prendere di nuovo tempo, senza afferrare il toro per le corna e imboccare davvero il sentiero della privatizzazione”. Da Gambini, che a questo punto sembra il candidato ideale per aggregare e guidare un fronte trasversale alternativo a Gnassi alle prossime elezioni comunali, è venuto lo scossone più forte verso il sistema politico locale, insieme al duro richiamo affinché scelga con decisione la strada della privatizzazione della realtà fieristico-congressuale guidata dal “Califfo” che di quel sistema regge da decenni le sorti e indica la via.
Gambini ha avuto anche parole di
stima per Lorenzo Cagnoni (“la Fiera di Rimini è
stata bene amministrata ed ha un patrimonio significativo”), ma ha
lanciato un messaggio accorato ed ha chiamato in causa direttamente
il sindaco Andrea Gnassi: “Il sindaco di Rimini
deve metterci la faccia. Il mio è un appello alla parte politica
nella quale milito: bisogna che rompa il silenzio e si decida ad
esprimersi con tutta la sua autorevolezza sulla questione della
privatizzazione. Non ci sarà nessun investitore internazionale che
sarà disponibile a partecipare ad una privatizzazione in questa
situazione di incertezza, nella quale non si sa cosa vuole il
Comune e con la contrarietà ormai esplicita alla privatizzazione da
parte del presidente dell’Ente Fiera”.
Rimini, è stato il seguito del ragionamento di
Gambini, “ha inscritto nel proprio Dna, sin dalla metà degli anni
60, il limite di affidarsi solo alle risorse locali. In quegli anni
ci fu la possibilità di internazionalizzare il turismo riminese, ma
anche allora facemmo la scelta di uno sviluppo endogeno,
allontanando i grandi tour operator internazionali e affidandoci
solo sulle nostre risorse”. Però da allora è trascorso mezzo secolo
e restare ingessati su quelle posizioni sarebbe letale. Gambini ha
sottolineato che per gestire oggi “le Fiere, gli aeroporti, i
palazzi dei congressi, c’è bisogno di aprirsi a realtà al di fuori
di questa regione.
Per questo è assurdo il modello del ‘fare sistema’ che forse aveva senso quando si fece Hera, più di dieci anni fa, anche se personalmente ho i miei dubbi che lo avesse anche allora. Nel caso degli aeroporti è evidente che se non si è dentro a una rete non si ha la possibilità di successo.
Questo comincia a valere anche per le Fiere e i palazzi dei congressi. Fare il sistema regionale significa condannare a morte Fiera e Centro Congressi”. Un altro tasto dolente focalizzato da Gambini è stato il seguente: “A Rimini da anni abbiamo congelato una enorme ricchezza pubblica in alcune infrastrutture che potrebbero essere invece convenientemente gestite da parte del mercato continuando a rendere servizi indispensabili per il successo economico e per il benessere della nostra comunità.
Quelle stesse risorse, se
scongelate, potrebbero essere impiegate dal pubblico per realizzare
altre infrastrutture che supportano servizi, ad esempio la banda
larga, il mare d’inverno, le fogne”.
La
conferenza stampa è stata aperta da Bruno
Sacchini, presidente dell’associazione culturale Dreamini,
con una sala piena di rappresentanti del mondo economico e delle
professioni, e soprattuttto con i due sindaci di Bellaria e
Riccione seduti nelle prime file. Giusto perché il senso
dell’iniziativa risultasse plastico: dopo Bellaria e Riccione,
anche Rimini può cambiare verso, per usare la metafora del
rottamatore. “Nata dalla preoccupazione diffusa per le sorti di
Rimini, Dreamini, assolutamente trasversale dal punto di vista
ideologico e politico, nel corso della sua ricognizione sui
problemi della città, si è imbattuta ad un certo punto nel buco
nero di Fiera e Palas. E perché buco nero lo spiega il libro bianco
che presentiamo”, ha esordito Sacchini.
Quindi è stato Mario Ferri a spiattellare una montagna di cifre che decriptano gli ultimi dieci anni di business plan, bilanci, delibere e lettere di patronage.
Anche da lui un puntiglioso riferimento alla necessaria “privatizzazione vera”, non quella ventilata nella recente delibera della Provincia di Rimini. La quale, secondo Ferri, ha avviato un “percorso del processo di privatizzazione che in realtà non sembra avere nessuna intenzione di privatizzare”. Se si opta per la privatizzazione attraverso l’aumento di capitale – ha spiegato – una delle strade indicate dalla delibera della Provincia e in attesa che faccia lo stesso anche il consiglio comunale di Rimini, “il soggetto privato diventa socio del pubblico e allora temo che si ripercorra la vicenda di Aeradria, allorché il braccio di ferro fra il pubblico e gli imprenditori ha condotto al fallimento, perché il pubblico non voleva mollare la partecipazione”.
E’ toccato a Sergio
Pizzolante, parlamentare del Ncd, spiegare che il libro
bianco e chi l’ha promosso non esprimono il partito che “rema
contro la città”, ma anzi guardano con serietà ad un futuro di
sviluppo per Rimini.
Secondo Pizzolante “siamo entrati in un’epoca
nuova e chi governa gli asset strategici a Rimini non se n’è
accorto. E’ fallito il sistema Cagnoni, verso il quale ho sempre
avuto stima, cioè l’idea delle grandi infrastrutture realizzate con
investimenti pubblici ridondanti, della spesa pubblica infinita,…
perché non ci sono più le risorse. Il pubblico non può più
permettersi di fare l’imprenditore”. E così, se da una parte
“abbiamo assolutamente bisogno che queste infrastrutture vivano
perché sono cruciali per Rimini, affinché ciò succeda si devono
aprire al mercato e agli investitori internazionali. L’idea che si
debbano aspettare i piani della Regione, che rispondono ad una
logica di controllo politico del territorio, non ha più senso”. Ed
ha concluso: “Rimini è passata dai 3-4 alberghi con licenza
annuale, a 300, nella fase antecendente alla realizzazione dei due
palazzi dei congressi”. Ma ultimati i due colossi le licenze
annuali sono praticamente le stesse: “E’ stato un fallimento
spendere oltre 200 milioni di euro per costruire i due Palas,
perché la ricaduta sul tessuto ricettivo, economico e turistico
riminese è stata impercettibile”.
Ma l’altro schiaffo partito da
Gambini è stato assestato sul faccione rubicondo
del consociativismo: “Nel sistema di potere che si è creato a
Rimini ci hanno mangiato tutti. Le associazioni di categoria e
imprenditoriali varie, gli organi di stampa (le inserzioni
pubblicitarie pagate dalla Fiera e dall’aeroporto sono state
ospitate dai nostri giornali per anni). E’ ora di creare finalmente
delle rotture e delle discontinuità, sia nella società civile che
nelle organizzazioni di categoria, nell’atteggiamento dell’opinione
pubblica e perciò anche degli organi di informazione, nei partiti,…
per voltare pagina. Io credo che la possibilità ci sia perché
questa città va salvata”.
Lorenzo Cagnoni aveva già convocato una
conferenza stampa per mercoledì prossimo, oggi gli saranno
fischiate le orecchie ed è prevedibile che coglierà l’occasione
anche per rispondere al fuoco.
A meno che non la si pensi come
Ronald Regan, secondo il quale il deficit americano era grande a
sufficienza per badare a se stesso (comunque in una stagione in cui
non era il solo a pensarla così), a guardare nel buco che rischia
di inghiottire la galassia di Rimini Fiera, col masso al collo del
nuovo palazzo dei congressi, si prende paura.
Stamattina l’associazione culturale, ma
soprattutto trasversale, Dreamini, che aveva già sparato qualche
cartuccia sul tema, ha caricato il cannone col libro bianco.
Titolo: “Società partecipate, debito pubblico, rischio default: il
caso della Fiera di Rimini”, redatto da Mario Ferri e Andrea
Bellonci. Contiene uno scenario che fa sudare freddo e che si
sostanzia in un debito bancario, per l’insieme delle società che si
occupano di fieristico e congressuale, che supera i 100 milioni di
euro.
“Come è andata a finire con Aeradria purtroppo
lo sappiamo”. E’ la premessa con la quale si apre il j’accuse sulla
Fiera di Rimini, che in realtà comprende un’analisi tecnica sul
sistema congressuale e fieristico nel suso insieme, dall’ente
guidato da Lorenzo Cagnoni a Convention Bureau, che sarà a breve
inglobata in Rimini Fiera. Il parallelismo con quanto è accaduto
per Aeradria, non è casuale.
La
tesi di fondo è che il male sia comune a chi organizzava voli e a
chi intavola fiere e congressi e se non si adotteranno soluzioni in
maniera rapida e seria, potremmo vedersi vanificare i sacrifici di
generazioni di riminesi. Soluzioni? Sarebbe meglio usare il
singolare, perché la ricetta spiattellata da Dreamini e con i
contributi di Mario Ferri, Bruno Sacchini, dell’ex parlamentare Ds
Sergio Gambini e dell’onorevole Ncd Sergio Pizzolante, è la
privatizzazione. Vera, però? Non quella di cui chiacchiera la
classe politica riminese, dall’ormai ex ente di corso d’Augusto a
guida Vitali, al Comune di Rimini, passando per la Camera di
Commercio.
Aeradria e Fiera: destini incrociati
La
ricostruzione parte da quel che accadeva il 16 settembre del 2011:
“Nella saletta al primo piano dell’aeroporto Fellini sono riuniti i
soci per approvare i documenti di bilancio. Attorno al Presidente
Massimo Masini sono presenti: Stefano Vitali (Amministrazione
Provinciale Rimini), Gian Luca Brasini (Rimini Holding), Antonella
Mularoni (Camera Eccellentissima della Repubblica di San Marino),
Lanfranco Francolini (Comune di Riccione), Franco Raffi
(Confindustria Rimini), Maurizio Temeroli (C.C.I.A.A. Rimini)…” e a
seguire gli altri nominativi, in rappresentanza di associazioni di
categoria, Regione Emilia Romagna, Rimini Fiera, enti locali. Ce
n’è per tutti. “Il clima è più che cordiale, gli adempimenti
formali si svolgono senza intoppi, nella convinzione,
entusiasticamente condivisa da tutti, che le sorti dell’aeroporto
non siano state mai così rosee come le attuali”. Invece di li a
breve tutto precipita. E, si legge nel libro bianco, “i due anni
persi, cullati dall’infondato ottimismo dei nostri governanti sono
stati decisivi e letali per questo esito e per l’affondamento del
Fellini”. Nel silenzio e nell’assenza della politica – prosegue –
“è intervenuta un’azione di surroga del potere giudiziario che non
poteva avere né la sensibilità di cultura economica, né gli
strumenti di intervento per governare processi così complessi. Ci
rimane la fotografia sorridente di quel settembre 2011 nella
saletta dell’aeroporto Fellini: ritrae protagonisti politici e
tecnici che hanno continuato, oltre il ragionevole, a corteggiare
il disastro, ignorando tutte le occasioni avute per cambiare
strada. A tre anni di distanza, al netto delle inchieste della
magistratura, sono ancora lì con le loro responsabilità politiche e
tecniche e nessuno ha avuto il buongusto di chiedere scusa o di
avviare una riflessione critica che eviti alla collettività altri
default”. Ma l’aspetto inquietante della vicenda è che la stessa
foto sorridente e ottimista è stata scattata qualche tempo fa anche
nella sala della Fiera di Rimini. “I protagonisti sono più o meno
gli stessi, è stato il ciak di inizio di un film che però abbiamo
già visto, che sappiamo come va a finire e che la nostra comunità
non può più permettersi”.
Prende le mosse da qui la puntigliosa analisi
sugli ultimi dieci anni che hanno portato al “disastro
annunciato”.
Di business plan in business plan
Si
comincia col mettere in croce il business plan del 2004 (ben prima
che cominciasse la crisi), il quale “prevedeva che il mutuo
contratto per la costruzione del Nuovo Palas venisse ripagato con
gli utili realizzati da Convention Bureau, come canone d’affitto
della struttura stessa. Questo – da notare – in una situazione
nazionale in cui sia Bologna che Milano avevano già deciso di
tirare i remi in barca per la crisi del settore, mentre il
management locale affermava che il
congressuale dava “segnali di vivacità”.”
Peccato, però, che Convention Bureau “in tutti questi anni non sia
mai riuscita a produrre utili”.
Poi arrivò il secondo business plan, quello del
2006, che “s’inventò il ripiego della quotazione in borsa, “trovata
che funzionò dal punto di vista della ricapitalizzazione, perché,
col miraggio degli utili futuri, una miriade di piccoli
imprenditori furono convinti (spesso dalle loro Associazioni di
categoria) a entrare nel capitale sociale della Fiera, restandone
in realtà prigionieri a vita”.
Poi nacque Rimini Holding, “per la quale fu
creato un “fondo sovrapprezzo azioni”, marchingegno di finanza
creativa costituito solo contabilmente perché liquidità in cassa
proprio non ce n’era. Il che non impedì (via debito bancario, come
al solito) di erogare milioni su milioni a favore di Società del
Palazzo dei Congressi, Aeradria e Tram servizi”.
Finita? Macché. Nel 2009 viene contratto il
famoso mutuo di 46,5 milioni di euro con Unicredit e vengono
sottoscritte anche le lettere di patronage “forti”, equiparabili a
vere e proprie fideiussioni (“delle quali nei successivi bilanci di
Comune e Provincia non v’è traccia”).
Arriviamo al 2013, “quando, nell’impossibilità
di pagare il mutuo Unicredit (nonostante previsioni fantasmagoriche
per quanto riguarda gli utili del Nuovo Palas) Comune e management
si inventano la variante di via Simonini (centro commerciale e
piscina), attraverso cui incamerare una ventina di milioni per
strappare da Unicredit una moratoria per il 2014, nell’attesa di
utili previsti per il 2016 o per il 2017”.
Dieci anni di previsioni sballate
Il
sistema fieristico-congressuale riminese “da dieci anni va avanti
così, “con la reiterazione di previsioni ogni volta sballate e con
la sceneggiata finale (cosa dell’altro ieri) d’una delibera del
Consiglio Provinciale che qualche giorno fa ha cercato di salvarsi
l’anima”. Con quale credibilità, si domanda Dreamini, i soggetti
che hanno condotto il gioco fino ad oggi, parlano adesso di
privatizzazione? Quando, come e in che misura? “Cosa c’è sotto
questo incredibile gioco delle tre carte che, replicando ogni volta
preventivi, sempre e comunque sbagliati, sembra presagire per la
Fiera lo stesso default di Aeradria? Quel medesimo calcolo
statalista e dirigista che, pur di non mollare Fiera e Palas, è
sempre rifuggito dall’unica mossa sensata (ancor oggi possibile) di
privatizzare sul serio e non per finta: tipo la Novarese, per
intenderci. Giungendo di fatto a un’alternativa secca tra default
generalizzato (Fiera e Città insieme) e l’aborrita
“bolognesizzazione”. Cosa che consegnerebbe anche la Fiera, dopo
Servizi e Aeroporto, nelle mani d’un padre-padrone Felsineo pronto
a ricompensare con presidenze e consigli d’amministrazione (vedi il
deja vu di HERA) i quadri locali, responsabili d’aver condannato a
morte una città a quel punto espropriata di tutto”.
La Fiera si salva, il Palas affoga
Nel dettaglio il libro bianco “salva” la Fiera
che “è riuscita nell’impresa di remunerare il costo iniziale grazie
ad un considerevole cash flow (utile + ammortamenti) conseguito
negli anni decorsi”, anche se i risultati sarebbero stati migliori
senza la galassia delle società controllate. La sola “Expoglobe,
partecipata al 49% da TTG Italia, società controllata da Rimini
Fiera S.p.a., che nelle intenzioni doveva nientemeno competere col
Bit di Milano, posta in liquidazione e chiusa nel 2010, ha
conseguito perdite superiori a 4 milioni di euro”.
E’
invece il Centro Congressi a navigare in cattivissime e melmose
acque. “L’investimento del Centro Congressi pone a rischio la
sopravvivenza del sistema fieristico-congressuale riminese ed ora
richiede drastici provvedimenti, necessari anche per mantenere la
piena funzionalità degli Enti locali corresponsabili nell’azzardo
gestionale”. La lezione non è ancora servita ai nostri
amministratori tanto che hanno accettato, per fare quadrare i
conti, la previsione per la Metropolitana di Costa di 5 milioni di
passeggeri annui fra Rimini e Riccione”.
La
domanda delle cento pistole è: perché ci si è imbarcati in
un’avventura del genere? “Perché il management di Rimini Fiera
S.p.a. é politicamente molto influente e grande protagonista del
consociativismo riminese (è sufficiente verificare la composizione
dei consigli di amministrazione delle venti società della galassia
Fiera)”, risponde Dreamini. E nell’azione di sponda a Lorenzo
Cagnoni, aggiungiamo noi, va aggiunto anche il principale partito
di opposizione (almeno sulla carta) a Rimini, Pdl-Fi, che ha difeso
e continua a difendere a spada tratta Cagnoni e l’operazione
Palas.
Con un costo di costruzione salito dagli
iniziali 82 milioni di euro ad oltre 100 milioni, il Palas è la
vera croce che rischia di affossare tutto.
Delibere pasticciate
Il
libro bianco boccia la recente delibera della Provincia, che nelle
intenzioni dovrebbe aprire la strada alla privatizzazione:
“L’intenzione manifestata dalla Provincia è buona, ma la redazione
di delibere del genere richiede ben altri contenuti”. E per
smontare l’ipotesi della “fusione” con la Fiera di Bologna, lo
studio di Dreamini passa in rassegna i conti economici
riclassificati delle fiere di Bologna, Rimini e Parma. Bologna è in
sofferenza: “La gestione bolognese si caratterizza per i risultati
negativi conseguiti nell’operatività interna, parzialmente
compensati dai proventi (dividendi) delle partecipazioni in società
che operano all’estero”. Parma, per una serie di ragioni (compresa
quella di non avere costituito società controllate”), “é in
controtendenza e consegue risultati positivi anche in periodi di
crisi”. L’alleanza con Bologna sarebbe utile solo a quest’ultima
perché la Fiera felsinea è “in difficoltà e soffre più delle altre
fiere emiliane la concorrenza di Milano; l’integrazione, fortemente
desiderata dalla Regione, le consentirebbe non solo di definire il
calendario delle manifestazioni, ma anche il luogo di attuazione.
L’ipotetica fusione fra Bologna, Rimini e Parma, avrebbe
certamente, anche per ragioni territoriali, il suo baricentro a
Bologna, ove sarebbe posta la testa pensante”.
Il disegno bolognese:
“mangiarsi” Rimini Fiera
La
fusione, di fatto, consisterebbe nell’incorporazione delle società
riminesi in Bologna Fiere S.p.a., realizzando finalmente il disegno
bolognese, con buona pace degli interessi riminesi. “La fusione
apparirebbe inizialmente fra due società, ma concretamente sarebbe
propedeutica all’incorporazione di Rimini Fiera S.p.a. in Bologna
Fiere S.p.a. In tal modo, anche con una presidenza riminese, il
luogo per le manifestazioni e gli eventi sarebbe deciso a Bologna,
completando il sacrificio dell’economia riminese, iniziato con i
servizi pubblici, proseguito con l’aeroporto ed ora a rischio per
l’indotto creato dal sistema fieristico – congressuale che può
anche perdere”. Ce n’è anche per la Regione, caldamente invitata a
svolgere un ruolo di regolatore, abandonando ogni pretesa di
assumere un ruolo attivo gestionale.
La ricetta
L’unica soluzione per salvare l’economia
riminese è rappresentata dalla cessione della maggioranza del
capitale delle aziende pubbliche.
Come se ne esce? Con difficoltà, anzitutto. Ma
la strada obbligata, indicata da Dreamini, è quella della cessione
della maggioranza della partecipazione, attraverso una “gara – con
l’assistenza di un advisor di rilevanza internazionale – da indire
da parte degli attuali soci pubblici per la cessione in un unico
lotto della maggioranza del capitale di Rimini Fiera S.p.a. e della
società Palazzo dei Congressi S.p.a. poiché, oltre all’incrocio dei
debiti bancari, si tratta di attività sinergiche”. La cessione,
oltre ad eliminare un preoccupante indebitamento, assicurerebbe
notevoli risorse ai soci pubblici, ipotizzabili in oltre 200
milioni di euro, che si riverserebbero in investimenti sul
territorio, ora limitati dall’emergenza Centro Congressi. E se in
passato è stato il management a dettare la linea alla proprietà,
ora è proprio il caso di cambiare verso.
12 luglio
2014